Kalya Harrison, se l’abuso sessuale non ti definisce

Kalya Harrison ha 26 anni ed è campionessa olimpica in carica nel judo. O nello judo, non s’è mai capito bene quale sia l’articolo corretto da usare. Ma quel che capisce chi pratica judo è che si tratta di una disciplina che ha come obiettivo il miglioramento della società attraverso il miglioramento di sé. Era peggiorata, ma è stata la migliore, Kalya, a Londra 2012. Ha combattuto con un ginocchio fuori uso e ha vinto, dopo i giochi si è dovuta operare per riallineare la rotula e fissare meglio i legamenti. Di Londra ricorda sia la gioia per essere diventata la prima statunitense medaglia d’oro nel (nello?) judo, sia il dolore. Ma se ha vinto è perché sa perfettamente che il dolore non si può ignorare, bisogna passarci attraverso per superarlo.

Kayla_Dramatic1   In passato infatti aveva già superato un dolore più grande e vinto una medaglia più preziosa. Accadde quando salì sul banco dei testimoni per raccontare gli abusi sessuali subiti dall’uomo che per otto anni era stato il suo allenatore. Lo conosceva da quando aveva 8 anni, era stato anche baby-sitter dei fratelli. Un amico di famiglia, in pratica. La allenava, le diceva che era brava e che un giorno si sarebbero sposati. Ma lei aveva 11 anni…

«Non riuscivo a guardare la gente negli occhi – ha raccontato – Non riuscivo a parlare con i miei fratelli né con i miei amici. Spesso non riuscivo ad alzarmi dal letto. Pensavo solo al judo oppure piangevo. Ma odiavo il judo. E odiavo mia madre, perché non si accorgeva di ciò che accadeva». Due anni dopo, ha trovato il coraggio di raccontarlo proprio alla madre. L’ex allenatore viene processato e condannato a dieci anni di carcere, ma non è una liberazione per Kalya, che da quel momento in poi perde la voglia di vivere. «Ogni sera scrivevo sul mio diario che volevo morire». I danni della violenza non si cancellano con una sentenza. «L’abuso sessuale fa danni che non si vedono con gli occhi. Io non avevo cicatrici, ma se tra i 10 e i 12 anni passi attraverso una cosa del genere, ciò ti cambia come persona. Ti lascia ferite aperte su tutto il cuore».

Per superarle, la madre la fa trasferire. A Wakefield, Ohio. Nuova palestra, nuovo Kayla-Harrison-seeks-Olympic-gold-history-P71OB2Q7-x-largeallenatore, un team di psicologi. «Mi hanno fatto entrare in una nuova classe di peso, in maniera tale che iniziassi a mangiare bene e ad accettarmi per com’ero. E piano piano sono scesa a patti con ciò che mi era accaduto, perché ho imparato che non è quello che mi definisce. Io sono Kayla Harrison. Sono una campionessa olimpica. Sono una judoka. Sono un’attivista. Sono una sopravvissuta. Sono tutte queste cose. Ma non sono una vittima». Con questa filosofia, ha infilato una vittoria dietro l’altra, anche con un ginocchio fuori uso, e a Rio difende il titolo vinto a Londra. Intanto va in giro per quartieri e chiese raccontando al sua esperienza e facendo capire a chi ci è passato e sta lottando contro i suoi stessi mostri che non è solo.

Kayla+Harrison+33rd+Annual+Salute+Women+Sports+duM7tp02CK2lUna volta una ragazza, al termine di un incontro in cui aveva raccontato la sua storia, le si è avvicianta e le ha dato un biglietto. «Leggilo dopo». La notte, in aereo, lo ha aperto. «Kayla – c’era scritto – sono stata violentata un mese fa e oggi per me è difficile alzarmi dal letto ogni mattina. Ma tu mi hai dato la speranza che un giorno ce la farò. Di questo ti ringrazio». Lei considera quel biglietto più prezioso di qualsiasi medaglia. Sì, il judo ha come obiettivo il miglioramento della società attraverso il miglioramento di sé.

2 thoughts on “Kalya Harrison, se l’abuso sessuale non ti definisce

  1. Roberto

    Ammazza che storia.Gli abusi andrebbero puniti severamente,viviamo in un mondo dove l’uomo crede di disporre della donna a suo piacimento.aime’ e’ stato anche peggio.Se nella religione musulmana e’ prassi,nell’occidente non dovrebbe esistere invece e’ uno schifo.Sono stato sposato 2 volte,ho lasciato e sono stato lasciato,ho sofferto e pianto per amore ma mai ho smarrito la strada della dignita’.Il tempo ha ricucito le voragini,ho vissuto una vita intensa,di certo non noiosa con le donzelle ma ci vuole rispetto,le donne non hanno una virgola meno di noi,solo un pezzo di carne in meno tra le gambe ma ora la moda dice di essere vegani…quindi!

    Reply
  2. Luca Pelosi Post author

    Hai ragione… purtroppo ancora troppi uomini si sentono superiori, non si sa bene in base a cosa…

    Reply

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *