«Non vedo l’ora di arrivare a Camp David». Venerdì 14 settembre 1979, Jimmy Carter non ce la fa più. Popolarità in calo, lo scandalo Jordan (il suo capo di gabinetto coinvolto in un traffico di cocaina), attacchi dei petrolieri. La corsa, però, è un efficace antistress e lui lo sa, in anni in cui lo stanno scoprendo un po’ in tutto il mondo. Farsi vedere nell’atto di correre, quindi, può anche far riprendere qualche punto nei sondaggi. Il giorno dopo Jimmy Carter sarebbe stato il primo presidente degli Stati Uniti a partecipare a una corsa a piedi, la Catoctin Mountain Park Run Race, 10 chilometri tra le montagne. Partenza proprio vicino a Camp David, dove un anno prima Carter aveva firmato l’accordo di pace tra Egitto e Israele.
Si era rimesso le scarpe da corsa da un annetto, dopo essere stato molto bravo, raccontava il suo allenatore Ellery Clark, nella squadra di cross country della US Naval Academy nel 1943. Faceva 8 chilometri al giorno lungo il South Lawn, il parco della Casa Bianca. Se aveva tempo, allungava fino a 20 chilometri e aveva sul comodino “Il libro della corsa”, best seller di Jim Fixx. «La mattina, appena alzato dal letto, ho sempre voglia di correre. E se non ci riesco non mi sento a posto» aveva dichiarato al New York Times. «Voglio completare la gara in 46 minuti» aveva detto al suo medico. 4’36” al chilometro, non male per un 55enne. Alla partenza fa molto caldo. Con lui ci sono anche il medico e qualche agente della Cia. «Saltellavo sulle punte per cercare di individuare il presidente. Era uguale a tutti gli ltri. Fascia in testa, maglietta gialla, scarpe Nike, calzini neri» raccontò Don Kardong, quinto alla maratona olimpica di Montreal nel 1976 e al via anche lui.
Jimmy Carter, trentanovesimo presidente della storia degli Stati Uniti, ha il pettorale numero 39. Parte a 5’13” al km, si sente bene, aumenta fino a 4’48” al km. Si sente sempre meglio e affronta di corsa la prima salita, molto ripida, al punto che molti camminano. Lui invece corre e salta perfino il punto di ristoro. Errore da principiante, quale in teoria non è. Dopo poche centinaia di metri rallenta di colpo e cadrebbe in terra se il medico William Lukash non lo sorreggesse. «Aveva gli occhi spalancati, lo sguardo vitreo. Tremava. Le gambe non lo reggevano». A Washington il responsabile della sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski riceve un telegramma: «Possibile crisi cardiaca del presidente. Possibile trasferimento in ospedale». Il dottor Lukash si prende subito cura del presidente, accompagnandolo in auto per non far arrivare un’ambulanza. Flebo di sali minerali, compresse, elettrocardiogramma e dopo un po’ Carter inizia a riprendersi. Semplice colpo di calore. Può capitare a ultracinquantenni che corrono con un grande caldo. Niente di grave, se non fosse che si tratta del presidente degli Stati Uniti…
All’arrivano lo speaker e la first lady Rosalynn Carter lo aspettano invano, mentre passano prima i corridori più veloci, poi i meno veloci, poi quelli della sua fascia d’età, poi quelli ancora più lenti. Finché non vengono a sapere dell’accaduto. Il panico, però, dura poco. Jimmy Carter, che solo due mesi fa aveva tenuto “il discorso del malessere”, sa che non può prestare il fianco ai suoi avversari politici. Allora dopo un po’ compare sul palco, in calzoncini e felpa, sorridente, per premiare i vinitori. «Mi hanno costretto a fermarmi, ma fosse stato per me avrei continuato». Non ci ha creduto nessuno. Jimmy Carter non ha mai più corso in pubblico. E per essere sicuro che, magari guardando le Olimpiadi, non gli venisse voglia di ricominciare, ha boicottato quelle di Mosca 1980.