La Streif non è una pista nera. Chi va a sciare a Kitzbühel, di solito resta deluso. Molto lunga, molto rossa, cioè al massimo con difficoltà e pendenze medie. Che cosa c’è allora di così speciale, che la rende teatro della discesa libera più temuta e più ambita? Tre fattori. Alcuni tratti neri che per noi comuni mortali non sono battuti, il modo in cui solo i campioni possono esaltare le pendenze, l’adrenalina (di chi arriva fino a 140 all’ora e di chi guarda). Cambiando questi fattori, il prodotto cambia. La Coppa del Mondo non è una proprietà commutativa. Ieri c’erano pure Arnold Schwarzenegger, in omaggio alla sua parte austriaca, e Bernie Ecclestone, forse in omaggio alla velocità. Quella sulle macchine però è un’altra cosa, infatti Dominik Paris in gioventù ne ha sfasciate alcune. Con una rotolò per 50 metri insieme a un amico, finché non li fermò il bosco. Illesi. Meglio sugli sci: ieri ha vinto per la seconda volta. Prima di lui, tra gli italiani, c’erano riusciti solo Kristian Ghedina e Peter Fill.
Lo chiamano “Domme”. Oppure, più banalmente, “Parigi”. Primo, ma nato in Val d’Ultimo. Val bene una messa, Parigi, perché Kitzbühel è un tempio sacro per lo sci. E a messa si va di domenica. Dominik, appunto. Non cacciano i mercanti dal tempio, infatti si arriva a più di 6 milioni di budget, ma c’è spazio per tutti. Anche treni gratuiti per arrivare. Cinquantamila spettatori, premi anche per chi arriva trentesimo, perché arrivare non è scontato. “Qui anche la sconfitta è leggenda”, diceva Gustav Thoeni. L’anno scorso Aksel Svindal si è rotto tutto. Ghedina rischiò nel 1998 sull’Hausbergkante, dove a un certo punto salti e non vedi più la pista. Fece la spaccata perché era sicuro di aver vinto. Paris era abbastanza sicuro, ma non del tutto. “Feuz era più veloce di me in alto. Ma poi ha sbagliato”. Su una pista così, vince chi sbaglia di meno. “Ovviamente nessuno è stato perfetto nella traversa”, dice sempre Paris. Sulla traversa hai la montagna a sinistra e il nulla a destra.
A un certo punto della sua vita Paris ha dovuto decidere se andare a sinistra o a destra. Il bivio era: lo sci, dove fin da giovane aveva capito di essere dotato, o “altro”? E cos’era “altro”? Il lavoro da muratore (lo ha fatto fino ai 18 anni), le birre con gli amici. Troppe. Era arrivato a pesare 110 chili. Oggi è intorno ai 100 e li usa per andare veloce sul piano. Non si concede più di una birra a settimana e solo se non ci sono gare. “Cento giorni in malga, con 120 mucche da pascolare e la sveglia alle 3 e mezza del mattino”. A ottobre 2007 tornò a sciare. I primi allenamenti con gli sci da freestyle, poi un quinto posto in Coppa Europa col pettorale 94 cambiò la storia. Fu il padre a rimetterlo in pista. Fu la velocità a togliergli il fratello. Né gli sci, né l’automobile. Un incidente in motocicletta. Lo racconta sul suo sito. “Dovevo obbligarmi a guardare avanti, allenarmi con impegno e fare del mio meglio per continuare a primeggiare”.
Ieri il ragazzo nato in Val d’Ultimo è arrivato ancora una volta primo. Quarto è arrivato Peter Fill, che aveva vinto l’anno scorso. La Streif non è una pista nera. Ma neanche rossa. E’ azzurra.