(da Il Romanista del 17 febbraio 2018)
Prima della gara si vede che Michela Moioli è tesa, sì. Ma non è la prima sensazione che ti trasmette. Dopo aver vinto si vede che è contenta, sì. Ma anhe in quel caso, non è la prima sensazione che ti trasmette. Michela Moioli è soprattutto consapevole. Sia prima, perché si rende conto dell’importanza di ciò che ha di fronte, sia dopo, quando sa esattamente il valore di ciò che ha fatto. Campionessa olimpica nello snowboard cross. Era tra le favorite, d’accordo, ma a questo status vanno aggiunte almeno due considerazioni. Primo: poche discipline sono così soggette all’aleatorietà come questa. Basta un niente, un sasso, un pezzo di ghiaccio, un tocco di un’avversaria, tre avversarie coalizzate contro di te (le è successo, sì), per mandare tutto a monte. Anzi, a valle. Giù. Secondo: quello status te lo costruisci con tanti anni di fatica nel silenzio dei media e te lo ritrovi sbattuto addosso all’improvviso. Sì, ok, e nei 4 anni precedenti dove stavate? Michela non se la pone nemmeno questa domanda. Ne è consapevole prima, che arriverà. E’ questa la sua forza. La consapevolezza. Dei suoi pregi, delle pressioni, dei suoi stessi limiti, che considera compagni di viaggio. Bisogna averci a che fare sempre, non serve né scansarsi né far finta che non ci siano. “L’ansia è una mia compagna di viaggio” ha detto alla vigilia dell’impresa di ieri, senza paura di raccontare le proprie debolezze. Senza paura, appunto. Se hai paura non vinci in una specialità del genere, dove scendi insieme ad altre tre atlete e rischi in ogni curva e in ogni salto. Se poi ha bisogno di rilassarsi, Michela si affida all’ukulele, che sta sempre lì, nel suo appartamento a Phoenix Park e che si è portato in Corea.
Che era un fenomeno l’avevano capito tutti cinque anni fa. Aveva 17 anni e vinse la preolimpica di Sochi. Dove poi però si ruppe il crociato del ginocchio sinistro. S’è rialzata, ha vinto una coppa del mondo, forse due, dato che ha conquistato sette podi nelle ultime sette gare disputate, prima della vittoria di ieri. “Mi sembra una gara normale” aveva detto il giorno prima. Forse è stata questa la sua forza. Oltre a mamma Fiorella (chi ci ricorda?), la sorella Serena, suo marito e il suo capo. “Lui le ha concesso le ferie – ha raccontato – ma ha detto che voleva esserci anche lui”.
Ha dominato la gara, Michela. Un numero da fuoriclasse immensa, ormai definitivamente consacrata come leggenda dello sport italiano. Dopo aver superato senza alcun patema le batterie dei quarti di finale e delle semifinali, l’azzurra si è ritorvata seconda dopo la partenza dell’atto conclusivo alle spalle della veterana americana Lindsey Jacobellis, prima di venire sorpassata dalla francese Chloe Trespeuch. Da metà pista, è iniziato il suo show. Prima supera Trespeuch, poi con un sorpasso deciso si sbarazza anche di Jacobellis. Pista libera. Accelera. Va in fuga. Taglia il traguardo a braccia alzate. E lacrime. Di gioia oggi, di dolore quattro anni fa a Sochi per la caduta quando era in zona podio, da diciottenne. “Erano giorni – ha detto – che vedevo atleti che vincevano medaglie e ne volevo una anche io. Volevo questo oro, non mi sarei accontentata per quanto stavo bene. Le sensazioni in gara sono state incredibili, me le ero immaginante nei giorni scorsi. Dopo essermi rotta il ginocchio quattro anni fa alle Olimpiadi di Sochi ho sempre detto che questa era come una scalata di una montagna e adesso che sono in cima dico che ne è valsa la pena. La vita insegna che quando tocchi il fondo bisogna sempre trovare forze e motivazioni per risalire. Quando ho una tavola sotto ai miei piedi mi sento a mio agio”. Anche noi, a vederti, Michela. E promettiamo di non dimenticarci di te per quattro anni, come faranno quelli che considerano un oro olimpico scontato e non sanno, perché neanche se lo chiedono, quanta fatica ci sia dietro.