(Da Il Romanista del 26 febbraio 2018)
Bella, fredda ma calda, irresistibile PyeongChang. E’ iniziata parlando di dittatori, presidenti, guerre e paralleli che non erano slalom. E’ finita parlando solo di sport, perché poche cose come lo sport fanno sempre vincere i valori dell’uomo, anche quando perdono. Scoppia la testa a pensare ai mille volti che hanno fatto questa edizione dei Giochi invernali. L’ultimo è arrivato proprio all’ultimo giorno. E’ quello di Marit Bjoergen, dominatrice della 30 km di fondo femminile a tecnica classica e premiata durante la cerimonia di chiusura. Sono otto gli ori olimpici per questa 37enne norvegese. Come i connazioali Einar Bjoerndalen e Bjoern Daehlie. Podio numero 15, è l’atleta più medagliata di sempre alle Olimpiadi Invernali. Un viaggio iniziato a Salt Lake City nel 2002, con l’argento in staffetta, e chiuso ieri. La Norvegia è stata la più brava di tutti, con il suo 71% di atleti asmatici. Al di là delle previsioni la Svizzera, con 15 medaglie. Non erano così tante da Calgary 1988.
Non è asmatica Ester Ledecka, di cui abbiamo già raccontato l’impresa: oro nel Super G e nel gigante parallelo, uno con gli sci e l’altro con la tavola da snowboard. Terza atleta della storia – prima donna – a vincere due ori in due sport diversi nella stessa edizione. Non accadeva dal 1928. Grande protagonista, come sempre, Matin Fourcade, leggenda del biathlon e protagonista in tre dei cinque ori portati a casa dalla Francia. Dopo aver vinto l’inseguimento e la gara con partenza in massa, ha guidato la staffetta mista al successo. Per lui un totale ora di 7 medaglie olimpiche, 5 del metallo più prezioso e due d’argento. Darya Domracheva, bielorussa e moglie del mito Bjorndaelen, ha vinto il suo quarto in Corea del Sud. Immancabili gli Stati Uniti, con la storia di Kikkan Randall, che ha vinto il titolo nello sprint a squadre nel fondo alla sua 18/a gara olimpica, che ne fanno l’atleta con la perseveranza più lunga ad essere salita sul podio ai Giochi invernali. Un plauso anche alla Germania, che ha conteso la leadership nel medagliere alla Norvegia e che tra slittino, skeleton e bob ha portato a casa 11 podi. Arianna Fontana, infine, è un qualcosa che va oltre l’Italia: l’azzurra ha eguagliato il record del sudcoreano Victor An e dello statunitense Apol Anton Ohno nello short track. Nessuno – tra donne e uomini – ha più medaglie olimpiche di lei nel suo sport. Chiusura con la Nuova Zelanda: una medaglia prima di PyeongChang 2018 ai Giochi invernali (l’argento di Annelise Coberger nel 1992 nello slalom), due nel giro di due ore in Corea del Sud grazie ai bronzi di Nico Porteous nel freestyle halfpipe e di Zoi Sadowski-Sinnott nel Big Air femminile il 22 febbraio.
Anzi, la chiusura va a Elizabeth Swaney. Atleta olimpica più di ogni altro. Specialità: freestyle halfpipe. Ha 33 ani, zero talento. Americana, nonni ungheresi. Sceglie proprio l’Ungheria (ma aveva già provato, invano, col Venezuela, stato di nascita della madre) e sfrutta una lacuna nel regolamento. In sintesi: sceglie le gare del circuito internazionale dove mancano le favorite, ma che danno punteggio per ottenere la qualificazione, non compie alcuna evoluzione, arriva spesso ultima o anche meglio se le altre cadono. Però prende i punti necessari, proprio perché a partecipare alle sue gare sono in poche. Si limita a scendere piano piano, ottiene i punti necessari, va alle Olimpiadi e arriva ultima. Alla fine della sua “prova” è la più felice di tutte. Ha onorato o disonorato le Olimpiadi? Il dibattito è aperto. Ma la federazione internazionale dello snowboard sta già pensando a cambiare i criteri di qualificazione per Pechino 2022. Fatelo pure, ma state tranquilli: lo sport vincerà sempre. E con esso vinceranno i suoi valori. Sui dittatori, sulle guerre, restando nelle regole.