Premessa: il medagliere, come siamo abituati a guardarlo ad ogni giorno che passa durante i Giochi olimpici, è un qualcosa che non esiste. Il Cio non lo ha mai codificato, né tantomeno ha mai stabilito se, come facciamo noi, ha la precedenza chi vince più ori e poi, di conseguenza, chi vince più argenti e così via o se, come fanno altrove, conta solo il totale di medaglie. Ognuno fa più o meno come vuole ed è giusto così perché si tratta, appunto, di una convenzione. Che è però ugualmente indicativa dello stato di salute di una nazione nello sport di vertice. Sport di vertice che considera sia le discipline estive sia quelle invernali. Ed è in questa ottica che le ormai famose dieci medaglie di PyeongChang 2018, che non sono il nostro massimo ma che sicuramente rappresentano un’inversione di tendenza in positivo rispetto a Sochi 2014 e Vancouver 2010, confermano che l’Italia è tra le più grandi potenze sportive della storia delle Olimpiadi. Considerando il medagliere di tutti i tempi (come lo intendiamo noi) di Olimpiadi estive e invernali, l’Italia occupa la sesta posizione: 246 ori, 214 argenti, 241 bronzi. A PyeongChang siamo però stati superati dalla Francia, che ora è a 248 ori.
Quei due ori in più, però, in realtà dovrebbero essere… la metà. Uno solo. C’è infatti da ripescare la storia di un oro fantasma per l’Italia, risalente ai Giochi di Parigi 1900. Lo ha vinto Enrico Brusoni, classe 1878, nato per caso ad Arezzo ma in realtà bergamasco, come Sofia Goggia e Michela Moioli. Lui, però, non ha mai saputo di aver vinto un oro olimpico a Parigi 1900, Giochi della II Olimpiade. L’edizione peggio organizzata di sempre, perché da un lato De Coubertin si era intestardito nel voler legare i Giochi all’esposizione universale, dall’altra il governo snobbava lo sport e quindi stanziò un budget per le gare sportive pari a zero. Il caos fu totale, dall’inizio alla fine dei Giochi passarono sei mesi e alla fine non si capiva più quali erano le gare valide e quali quelle non valide. Anche perché in pratica le competizioni erano inserite come semplici attrazioni a margine dell’esposizione universale.
Enrico Brusoni aveva già risultati importanti alle spalle. Nella gara di velocità mancò l’accesso alla finale, ma vinse la corsa a punti al velodromo di Vincennes battendo il tedesco Duill e il francese Trousellier. Di quella gara si persero le tracce finché non venne ripescata da Bill Mallon, fondatore dell’associazione internazionale degli storici olimpici. Secondo i suoi studi la “corsa delle volate” (così si chiamava quella che oggi è la corsa a punti) aveva tutte le caratteristiche delle prove inserite in quel programma olimpico: gare aperte a tutti, gare per dilettanti, gare senza partenza ad handicap, gare senza premi in denaro.
Il problema sta nel fatto che il Cio non ha mai riconosciuto quella gara. Il Coni sì, dopo aver revisionato gli studi di Mallon, ma quando Brusoni era già morto. Campione olimpico a sua insaputa. Anzi, senza mai saperlo.