Da Il Romanista del 22 maggio 2019
La sua ultima sosta ai box è andata male. Niki Lauda è morto nella clinica svizzera dove era ricoverato per problemi ai reni. In estate invece aveva fatto pit-stop all’istituto AKH di Vienna non per cambiare le gomme, ma i polmoni. Gli stessi polmoni dove 42 anni prima era entrato di tutto. Sarebbe morto l’1 agosto 1976 al Nurburgring se un collega, Arturo Merzario, non lo avesse aiutato a uscire in tempo dalla sua Ferrari finita in fiamme. Sopravvisse. “Mi presentai da Enzo Ferrari – raccontò – come una mummia. Lui si spaventò, io lo calmai dicendogli che le ferite sarebbero guarite in pochi giorni e che non c’erano lesioni”. Ferrari non ci credeva, per sostituirlo contattò tre piloti, tra i quali Ronnie Peterson, che invece non sopravvisse al suo incidente avvenuto a Monza due anni dopo. Si accordò con Carlos Reutemann, ma nel frattempo Lauda stava già lavorando per tornare. Ci riuscì e contese fino all’ultimo il titolo a James Hunt, storia tornata in auge nel 2013 grazie al film “Rush”.
La paura
La paura però lo colse all’ultimo Gran Premio, in Giappone. A causa della pioggia, le condizioni erano troppo pericolose. Si fermò e se ne prese la responsabilità. Chissà, forse è stato veramente quello l’unico momento in cui ha avuto paura e chissà se ne ha avuta lunedì scorso, suo ultimo giorno di vita. Ha giurato di non averla avuta neanche al momento dei due trapianti ai reni. “Il primo – ha raccontato poco tempo fa a – da mio fratello Florian. Cinque minuti dopo essere entrato in ospedale a Vienna, già tutti lo sapevano. Così quando ho avuto un altro trapianto di rene nel 2005 sono riuscito a mantenere il segreto. A donarmelo è stata Birgit, la mia futura moglie, che ho sposato a 60 anni”. Prima di Birgit, da cui ha avuto due gemelli, è stato sposato con Marlene, da acui avuto Lukas e Mathias, che fa il pilota e ha gareggiato anche contro il figlio di Hunt.
Sopravvissuto
Niki Lauda, però, non è stato “solo” il sopravvissuto al Nurburgring che ha avuto il coraggio di tornare a lottare per un Mondiale perso per paura. E’ stato forse il più grande pilota, sicuramente il più moderno, tra gli anni Settanta e i primi Ottanta. Due decenni, l’un contro l’altro armato. Aveva vinto con la Ferrari prima e dopo, nel 1975 e nel 1977. Poi, dopo essersi ritirato, tornò e vinse anche con la McLaren. “Senza una Rossa non sarai nessuno”, gli aveva detto Enzo Ferrari, che lo ammirava quando correva con la BRM. Fu Clay Regazzoni a favorire un tormentato passaggio a Maranello, dove in poco tempo Lauda divenne la prima guida.
Computer
Lì nacque la sua fama di “computer”, come veniva definito per la sua straordinaria sensibilità nel cogliere i minimi dettagli del funzionamento della macchina e quindi migliorarla. Una fama che lui si divertiva a smentire. “E’ solo culo”. Attraverso i glutei riusciva ad avvertire ogni vibrazione della vettura e capire cosa non andava. “Ma io in realtà sono per l’improvvisazione” ripeteva fino a poco tempo fa. Improvvisando, ha convinto la Mercedes, di cui era presidente onorario, a prendere Hamilton.
Sensibile
Di sicuro, una cosa a cui teneva, era che il termine “sensibilità” non fosse associato solo alla sua capacità di capire come migliorare le macchine o di guidarle. “Sono talmente sensibile che in certe occasioni piango come un bimbo e non me ne vergogno”. Non s’è mai vergognato di mostrare per 42 anni il volto sfigurato dall’incidente, che forse è ciò che rappresenta al meglio l’essenza di Niki Lauda: un conto era come appariva, un conto è come era sotto la maschera, quella che gli mettevano gli altri o quella che gli ha messo il destino. Un destino che non s’è compiuto nell’agosto del 1976, né in quello del 2018, ma il 20 maggio 2019.
Due volte sopravvissuto, due ritiri, due mogli, due trapianti. Un campione, un uomo: Niki Lauda.