Non era Tommie Smith, ma ha urlato “No” a Città del Messico anche lei. Non era Nadia Comaneci, ma ha fatto sballare il tabellone dei punteggi anche lei. Lei era Věra Čáslavská. “Era”, perché se n’è andata tre giorni fa a 74 anni, portata via da un cancro al pancreas. Ha vinto 11 medaglie olimpiche (7 d’oro e 4 d’argento) tra il 1960 e il 1968 ed è l’unica ginnasta della storia ad aver conquistato un oro olimpico in ciascuna specialità individuale. E questo è il minimo che andava detto per ricordare che razza di atleta se n’è appena andata.
Si sapeva già che razza di atleta fosse, nel 1968 mentre, in ritiro con la nazionale cecoslovacca a Šumperk, ai piedi dei monti Jeseníky, alle tre del mattino fu svegliata dalle urla della gente del posto. «Ci hanno invaso i russi!» È la primavera di Praga, che rischia di anticipare la fine della sua ultima stagione ad alto livello. Věra infatti è tra gli atleti che firmano il “Manifesto delle duemila parole”, che auscpica la liberazione della Cecoslovacchia. Ci sono altri nomi importanti, ma se il saltatore con gli sci Jiří Raška ha i suoi Giochi olimpici due anni dopo, se Emil Zatopek ha già smesso, lei viene bloccata sul monte Jeseníky. È ancora lì, mentre il resto della squadra sta già in Messico. Si allena usando un tronco come trave. Solo all’ultimo le autorità cecoslovacche trovano un accordo con il segretario del PCUS Brèžnev per farla partire.
A Città del Messico non si lotta solo per vincere. In Piazza delle Tre Culture si spara. Sul podio dei 200 metri si alza il guanto nero. Al Palasport della ginnastica, dove si consumerà il dramma di Franco Menichelli, gli occhi sono tutti per Věra Čáslavská. L’unica non solo in grado di contrastare la perfezione delle russe, ma anche di offrire più emozioni col suo modo di interpretare gli esercizi. A Tokyo 1964 ha già battuto la mitica Latynina. Agli Europei del 1967 lascia impreparati i giudici per il risultato alla trave e al corpo libero: 1.00 dice il cartello. Vuol dire 10, ma le macchine non sanno registrarlo. Esattamente come accadrà a Nadia Comaneci nel 1976, ben 9 anni dopo. Le macchine non arrivano alla perfezione.
A Città del Messico Věra vince al volteggio e alle parallele. Alla trave, però, i giudici premiano la sovietica Kuchinskaia. Sul podio, Věra abbassa gli occhi e si gira verso destra, per non guardare la banidera russa che sale mentre suona l’inno sovietico. Al corpo libero gareggia per ultima, sulle note di una musica messicana. Anche qui siamo molto vicini alla perfezione, il voto è 9.900, lo stesso della russa Larisa Petrik, che però ha un punteggio più basso negli obbligatori. Subito dopo, però, la giuria si riunisce e decide che il punteggio agli obbligatori della Petrik va aumentato. L’oro è suo, l’argento di Čáslavská, che ancora una volta, vedendo salire la bandiera russa, si gira dall’altra parte.
Viene comunque festeggiata, si sposa con un mezzofondista cecoslovacco, si gode il viaggio di nozze a Capri. Non sa che sono i suoi ultimi sorrisi. Al ritorno in patria, considerata “persona non gradita”, viene espulsa da tute le competizioni. Scrive un’autobiografia che viene fatta saprire dal governo perché, a differenza di altri tipo Zatopek, si rifiuta di ritrattare le sue convinzioni politiche. Non trova lavoro se non per un breve periodo in Messico, allora viene richiamata a Praga per allenare una squadra di ginnastica, ma le viene impedito di lasciare il paese. Perfino al presidente del CIO Samaranch viene impedito d’incontrarla. Quando, dopo il 1989, le cose sembrano andar meglio, il marito Joseph muore per mano del figlio Martin, tragico epilogo di una lite tra i due. Da quel momento in poi le apparizioni pubbliche di Věra praticamente finiscono. Finché, nel 2013, un film ne racconta vita, volteggi e lotte. L’ultima lotta è finita tre giorni fa.
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Uno dei migliori ricordi della Caslavska che io abbia letto in questi giorni.
Grazie Rudi!