Non avevo mai fatto una gara così impegnativa a una così breve distanza da una maratona (due settimane) e non avevo mai fatto la Trenta chilometri del mare di Roma. Ci sono sempre due prime volte. Avrebbero potuto non esserci, dato che poco tempo prima la gara era stata annullata con una motivazione che in teoria basterebbe per annullare qualsiasi gara a Roma e dintorni: ci sono le buche sulle strade. Talmente incredibile da essere vera. Poi, per fortuna, la decisione è rientrata.
Dimenticavo: le prime volte sono tre, perché non avevo mai fatto una gara sui trenta chilometri. Molti la usano come lungo in vista delle maratone autunnali, tutti spingono fin dall’inizio. Partenza e arrivo sono allo stadio Pasquale Giannattasio, ex Stella Polare. Anzi, subito fuori. La bellissima nuova pista infatti non si può usare, nonostante sia stata inaugurata a luglio. Talmente incredibile da essere vero. «Parto a 4’20” al km», mi dico. E invece parto a 4’10”, mi rispondono le gambe, che stanno bene e non sembrano accorgersene. Canale dei pescatori, Ostia Antica e già mi ritrovo in gruppo. Non mancano curve, marciapiedi e sterrato, che in effetti rendono il percorso un po’ più impegnativo di quanto sembra.
Da Ostia Antica arrivo al porto per prendere il lungomare, pregando che non ci sia troppo vento. Ci sono almeno 6-7 km da fare nella stessa direzione e se è contrario è finita… Non si capisce se sia contrario o favorevole, ma di sicuro è molto debole e questo va bene. Va bene anche trovarsi in gruppo. Ci sono due uomini silenziosi, uno che ci tiene a specificare che sta andando un po’ più forte di quanto previsto in previsione del fatto che dovrà fermarsi per un bisogno fisiologico, altri due che parlano e incitano le due donne del gruppo. Una di queste deve chiamarsi Roberta, dato che ogni 4-500 metri s’incontra qualcuno sul percorso che urla “Dai Roberta!”. Dev’essere una celebrità di Ostia, mi dico. Pensa a correre, mi rispondo. Ci penso e insieme a un altro mi lascio il gruppo alle spalle.
Finito il lungomare si torna indietro per qualche chilometro sulla Colombo. Km 21, mezza maratona, 1h29’30”. Ottimo, mi dico. E invece no, mi rispondono le gambe poco dopo. Quasi all’improvviso, infatti, è come se m’infilassi in un buco. Altro che buche sulle strade. Non mi capitava da un po’, il ritmo cala, le gambe sono pesanti, quasi di legno e i cartelli dei chilometri arrivano sempre più lentamente. Qualcuno mi supera, compresa una delle donne del gruppo. E mentre la vedo distante, incrocio un tizio in bicicletta che viene in senso opposto e che urla: «Dai che sta in sofferenza, la riprendi!» Mah. Qui se c’è qualcuno in sofferenza mi sembro io e la donna in questione la vedo sempre più lontana. Poco dopo, però, l’arcano viene svelato. Era semplice: il tizio in bicicletta non ce l’aveva con me, ma con la Roberta di prima, che mi supera e si lancia all’inseguimento dell’altra donna. Le lascio lottare per il secondo posto della classifica femminile e mentre penso a fare l’unica cosa che si può fare in momenti di crisi e cioè contenere i danni aspettando – anzi, sperando – che passi, vedo spuntare da un cespuglio della pineta (perché nel frattempo, al km 25, siamo in pineta) uno dei due podisti del gruppo del lungomare che allunga una borraccia a Roberta. Poi sparisce, senza pettorale. Eh sì, tutti tifano per Roberta, tutti si sacrificano per lei.
Al km 27, ancora in pineta, mi accorgo che uno che stava per superarmi resta al mio fianco. E’ in crisi anche lui? Mi chiedo. No, sei tu che stai aumentando, mi dice il cronometro. Ehi, è proprio vero. Le gambe vanno meglio, anche il respiro torna regolare, il tipo non solo resta al mio fianco, ma torna dietro. Non so perché, ma la crisi è passata. Penso di sapere perché è arrivata, semplicemente perché due settimane sono troppo poche per recuperare da una maratona. Gli ultimi tre chilometri non sono al livello dei primi 22, ma riesco comunque a correrli in maniera tale da godermi il finale. Ne raggiungo altri due, ma non Roberta, che quando arrivo (2h09’33”, media finale 4’19” al km… non male) sta rilasciando un’intervista allo speaker. E finalmente, sentendo il cognome, capisco perché tutti la incitavano. Stavolta è arrivata terza (il tipo in bicicletta era stato troppo ottimista), ma di gare ne ha vinte tante ed è stata comunque una bella soddisfazione aver corso a lungo con lei, per un po’ addirittura davanti a lei.