A 17 anni, Bob Mathias (che oggi, 17 novembre, di anni ne avrebbe compiuti 86) è una giovane promessa a livello regionale. Pochi mesi dopo, è campione olimpico in una specialità che non lo aveva mai visto competere a livello internazionale: il decathlon. E’ successo veramente, nel 1948 a Londra, quando questo ragazzo nato in una cittadina della parte centrale della California è diventato un eroe nazionale. Da piccolo soffriva di anemia, passava attraverso pillole di ferro, diete speciali e sonnellini. Senza farsi mancare alcuna malattia infettiva.
Eppure, al liceo si scopre dotato di una coordinazione naturale che lo fa eccellere non solo in tutte le discipline dell’atletica leggera, ma proprio in tutti gli sport. Il padre lo incoraggiava a provarli tutti. La madre lo seguiva con gli occhi pentendosi ogni giorno delle lacrime con cui accolse la sua nascita. Voleva una femmina, non erano lacrime di gioia. Bob è molto bravo in particolare nel basket e nel football americano, finché il suo allenatore Virgil Jackson non gli propone di provare il decathlon. «Volentieri coach – risponde – ma cos’è il decathlon?» Quello che, senza saperlo, faceva già. Tranne salto con l’asta e lancio del giavellotto, che impara in tre mesi. Suficienti per presentarsi a Londra, dopo aver battuto il campione nazionale Irving Mondschein a Bloomfield, New Jersey, dove arrivò grazie a una colletta degli abitanti di Tuarle.
A Londra gli iscritti al decathlon sono 39. E come se non bastassero le lunghe pause dovute al fatto che i partecipanti sono tanti, ci si mette anche la pioggia. «Quando non gareggiava – raccontano i giornali dell’epoca – Bob stava rannicchiato sotto una coperta provando a ripararsi dalla pioggia». Alla fine della prima giornata l’ex anemico Mathias è terzo, viene guardato prima con curiosità e poi con sospetto dagli altri, che sbaraglia al secondo giorno. Grazie al disco e al giavellotto si prende il primo posto e non lo molla più fino all’ultima prova, i 1500 metri, percorsi in 5’11” con i fari delle automobili a illuminare la pista dello stadio, perché era tardissimo e le luci si erano spente. E’ l’unico concorrente a superare i 7000 punti, per la precisione ne totalizza 7139.
Come festeggiò? Addormentandosi, stanco com’era, al punto tale che il giorno dopo dovettero andare a svegliarlo a forza per non fargli perdere la premiazione. A Tulare, nel frattempo, la radio aveva annunciato la sua vittoria e campane, sirene e fischi delle fabbriche avevano accompagnato cortei spontanei di festeggiamento per tutto il paesino. Lo avrebbe lasciato subito dopo, per iscriversi all’università di Stanford, che nel 1952 portò al Rose Bowl Game, uno degli eventi più prestigiosi del college football. Nel frattempo, però, non aveva mica mollato il decathlon. Era diventato primatista del mondo nel 1950 e proprio nel 1952 avrebbe bissato il titolo olimpico. Fece 7887 punti, dandone ben 912 di distacco al secondo classificato (Milt Campbell), margine più grande della storia del decathlon olimpico.
Quel giorno non ci fu bisogno della radio per sapere della vittoria. La tv mostrò la gara. Un giovane atleta di UCLA, Rafer Johnson, la vide e decise che il suo futuro sarebbe stato nel decathlon. Sarebbe stato campione olimpico anche lui, ma la sua è decisamente un’altra storia e non è solo la sua… si trova in “Olimpiche, storie immortali in cinque cerchi”.