È morto pochi mesi fa, ma era nato oggi. Il 20 novembre 1928. Stiamo parlando di John Disley, alfiere della generazione di mezzofondisti britannici che negli anni Cinquanta fece la storia di più di una specialità su pista. Non fu tra le lepri che aiutarono Roger Bannister all’abbattimento di uno dei muri che sembravano più invalicabili dell’atletica leggera, il miglio in meno di 4 minuti, ma di cose importanti ne ha fatte, anche insieme ad altri atleti di quel fantastico gruppo.
Figlio unico di Herbert e Marie Disley, tranquilla coppia di un villaggio del nord del Galles, dove si campa solo grazie alle miniere di ardesia, preferisce andare a scuola di corsa pur di non comprare il biglietto dell’autobus. Solo a 18 anni però, alla Loughborough University, mette i piedi su una pista di atletica. Non sa ancora che il suo allenatore, Geoff Dyson, presto sarà anche l’allenatore della nazionale britannica. E non sa neanche che cosa siano i 3000 siepi, che lo stesso Dyson gli propone. Anzi, gli impone, perché è uno con cui non c’è tanto da discutere. Lui si convince definitivamente dopo aver visto una gara di Chris Brasher (lepre, insieme a Chataway, nel giorno del record del Miglio). Quattro anni dopo, è in finale ai Giochi di Helsinki. È in grande forma e ha studiato bene i suoi avversari. Il più pericoloso è il tedesco Helmut Gude e John fa la gara su di lui. Non sa, però, che l’avversario è malato e quando se ne accorge è troppo tardi. Riesce comunque ad arrivare terzo, nella gara vinta dal sorprendente americano Horace Ashenfelter, un agente dell’FBI che batte il record del mondo.
Passano gli anni, tre per la precisione, e nel 1955 il record del mondo è suo. Nel 1956 a Melbourne è tempo che sia suo anche l’oro olimpico, nonostante 11 giorni prima della gara il polacco Jerzy Chromik gli toglie il ruolo di primatista del mondo. In gara c’è anche Chris Brasher, entrambi ora sono allenati da Franz Stampfl, austriaco che viene – guarda un po’ – dall’Australia. Però, siccome il destino è dotato di grande senso dell’ironia, stavolta chi si sente male è proprio lui. Arriva sesto. Vince Chris Brasher, grazie anche a un bellissimo gesto di fair play degli altri atleti. Questa però è un’altra storia, da non perdere, che sta in “Olimpiche, storie immortali in cinque cerchi”.