L’abbiamo fatto per i presidenti americani e allora non possiamo esimerci dal farlo per Fidel Castro. Che era un grande sportivo, questo è abbastanza risaputo. Buon giocatore di baseball in gioventù, appassionato di tutti gli sport, in particolare quelli olimpici, ospitava Maradona, soffriva quando gli atleti cubani approfittavano dei tornei internazionali per non tornare più in patria. Inutile dire che tra i suoi preferiti ci fosse il pugile Teofilo Stevenson, tre medaglie d’oro consecutive ai Giochi dal 1972 al 1980 e la quarta mancata solo a causa del boicottaggio. Famoso non tanto per le sue 302 vittorie e 11 anni senza sconfitte, quanto per aver sempre rinunciato di passare al professionismo. Il sogno di organizzatori e appassionati era vedere un match tra Muhammad Alì e lui, che però rispondeva sempre che «5 milioni di dollari non valgono nulla, se ho l’amore di 8 milioni di cubani». Amore che non perse anche nel periodo trascorso in carcere perché, dopo una furiosa lite con la ex moglie, si mise al volante e investì una persona. Ma questa è un’altra storia.
La storia da raccontare oggi riguarda proprio Fidel Castro, che riuscì là dove fallirono tutti, da Don King in giù. Riuscì a far incontrare Teofilo Stevenson e Muhammad Alì. Era il 1996 e l’ex campione del mondo aveva da poco mostrato al mondo, durante la cerimonia d’apertura dei Giochi di Atlanta, il suo fisico provato dal Parkinson. Ciò non gli impedì di giungere a L’Avana a seguito di una spedizione umanitaria per rifornire di medicinali gli ospedali di Cuba. Incollato a lui c’era un solo giornalista, Gay Talese, inviato di “The Nation”, che riuscì a raccontare l’incontro tra i due campioni. Fidel Castro, infatti, voleva incontrare Alì e chiese proprio a Teofilo Stevenson di fare da tramite. Alì e Stevenson non si erano mai incontrati di persona, ma si erano lanciati messaggi di reciproca stima. D’altra parte, è facile pensare che uno che si era rifiutato di andare a combattere in Vietnam e uno che aveva rinunciato ai miliardi del professionismo per coerenza con le sue idee, si piacessero.
A fare da tramite contribuirono anche le rispettive quarte mogli, anch’esse presenti all’incontro con Castro presso il palazzo della Rivoluzione. Non fu un incontro memorabile, perché il Parkinson decise di farsi sentire in maniera molto forte, impedendo ad Alì di farsi sentire. Restò muto dopo che il lider maximo lo abbracciò, dicendogli quanto fosse felice d’incontrarlo. Lo guardò, provando ad accennare un sorriso che forse Castro poté solo immaginare. Fidel non si arrese, gli mostrò una foto con Malcom X. Niente. Per provare a rompere il ghiaccio chiese aiuto a Stevenson, mimando pugni e facendosi raccontare della nuova moglie, che è simpatica e sta al gioco. Battute e risate che per un attimo rianimano Alì, che riesce a muovere il braccio e ad appoggiare il pugno sulla mandibola di Fidel Castro. Lo fa poi anche con Stevenson e così i due, lentamente, per gioco e per pochi secondi, danno vita all’incontro che tutti avevano sognato e che però non fu come era stato sognato.
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