Il giorno dopo la scomparsa di Oliviero Beha, abbiamo ritrovato il suo pezzo su Repubblica dedicato alla finale scudetto tra Bancoroma e Billy del 1983. Ce n’è traccia anche in Banco! L’urlo del Palaeur, il libro dedicato agli anni più belli del basket romano. Da leggere non tutto d’un fiato, ma meditandolo.
Comunque vada a Milano, sul parquet, comunque vada nel calcio, è davvero un Giubileo per lo sport della capitale, nelle discipline di squadra che muovono folle. Questo ha detto l’annata, da questo uscivano le immagini, vive in tv, dell’altra sera dal Palazzo dell’Eur, in questo abita il fervore che la gente ha dimostrato e dimostra per la marcia che avvicina alla vittoria. Ma giacché di calcio ci occupiamo massicciamente, restiamo al cesto, partendo da una domanda: da che cosa dipende il matrimonio tra Roma e la pallacanestro, è una novità reale, si deve a un cambiamento interno a questo sport oppure è cambiata Roma nei suoi confronti?
Vediamo: quel vincente di Valerio Bianchini, che non si nega all’intelligenza delle cose anche a costo di “aspettare che gli altri mi raggiungano”, sosteneva giorni fa che l’aver portato al titolo nei suoi paraggi in un anno solo il Banco non è stato un miracolo, semplicemente afferrare e realizzare qualcosa che era nell’aria. Isio Saba, fotografo sardo da sempre nell’ambiente, che a Pasqua era al cinema e a cena con Wright e Kea, “senza che nessuno m’avesse chiesto di tener loro compagnia, capivo che sarebbero stati soli, piccole cose”, afferma che l’operazione compiuta dal Banco quest’anno è stata quella importantissima di rendere “visibile” nella capitale il basket che da sempre navigava invisibile.
Procedevano da anni, come sulle traversine di un binario, un pubblico potenziale e un basket in penombra, o comunque di copertura,di sopravvivenza. Ciò che ha trasformato in atto il pubblico, sposandolo a un basket cresciuto nel frattempo, è stato il successo, il primato in classifica. Giocatori romani, sfornati dalla capitale a mezza bocca senza trovare in loco la Grande Occasione, girano per la A2 e la B, in un oblio attivo. E invece ecco finalmente che un Gilardi di Testaccio trova il cavallo giusto, corre per la scuderia della sua città. Seminagioni di anni, nel basket “invisibile” o quasi di vecchie squadre in vecchi impianti, diventate squadre un poco più moderne in impianti nuovi fino a “glorificare” i praticanti che non sarebbero poi aumentati in maniera vertiginosa, hanno trovato il profeta di un degno raccolto in un allenatore super, Bianchini, in una società organizzata,il Banco, nel coraggio e nella ragione di chi ha investito per riuscire, per riuscire in serate come quella che ha infiammato il Palasport, e non solo per figurare decentemente.
“E’ il professionismo che matura, che si deposita chimicamente, e poi funziona e non vola via, nell’aria”, dice ancora Isio, fotografo sardo. Nell’aria, espressione comunque anche a Bianchini: che cosa c’è nell’aria di Roma? Forse bisogna uscire dal basket, per capire il basket. C’è una gigantesca domanda di sport, innanzitutto, in Italia ma “anche” a Roma. Leggiamo come fogli del medesimo diario le folate di partecipanti alle “non competitive” che qui sono attecchite come forse prima non avresti detto “per Roma”: e poi il gigantesco seguito, non nuovo ma del tutto dispiegato dalla credibilità e dalla lotta per il primato, ottenuto dalla Roma di Liedholm e Viola; e ora questo orgasmo montante per la pallacanestro, che potrebbe raccogliere perfino le stanchezze extracalcistiche dei “non competitivi” stremati dalle competizioni e assunti nel voyeurismo di chi vuol vedere vincere “e che ci sia le televisione, e che i giornali ne parlino”.
In effetti se calcistizzazione generale esiste nel consumo di spettacolo sportivo, era quasi inevitabile che si travasasse nei Palazzetti, per la sorella ancillare dello sport più popolare. E Roma in questo è superbo laboratorio, per la concomitanza e l’osmosi del successo da festeggiare. Ma ancora: perché solo ora? Bianchini ha avuto un’altra uscita felice: “La differenza tra il Billy e il Banco è che è Milano che produce il Billy, mentre è il Banco che produce Roma, in pallacanestro”.
E se fosse davvero così? Se tessendo i fili di discorsi differenti e intricati si abbozzasse un’immagine di Milano città centripeta e verticale, quindi giusta,”da basket”, fabbrica di spettacolo “artificiale” con tutti i sacramenti della tradizione, e invece un disegno di Roma metropoli centrifuga e orizzontale, quindi non “da basket”, confusa nella sua periferica casualità, naturalmente incapace di coincidere con la direzione della pallacanestro?
Se fosse stata davvero la Grande Occasione del Banco a calamitare le tante Rome cestistiche sparse, occultate negli impianti poco utilizzati di scuole improbabili, per dimostrare che qui le cose possono avvenire “come” a Milano? E’ questa la scommessa in profondità, già vinta. Con le indicazioni di grossi impianti, da decine di migliaia di spettatori, e autentico professionismo (calcistizzato, ma scientificamente) per il futuro del basket nelle cittadine, ovvero da Brindisi a Napoli, da Rieti a Roma, da (Catafimi) a (Palermo)…
(Oliviero Beha, Repubblica, 15 aprile 1983)