L’unica cosa che non piaceva a Boniciolli di Datome erano i capelli. “Posso dirti che questa capigliatura bohemienne mi fa cagare?” “Figurati, c’è già mia madre che me lo dice tutti i giorni”. Non lo convincerete mai a tagliarli, perché sotto quei capelli c’è una testa dura.
Questa frase sta scritta a pagina 43 de “La squadra che non c’era”, nel capitolo dedicato a Gigi Datome. Rileggendo quel capitolo dopo quattro anni, mi sono accorto che è tutto ancora valido, tranne la previsione sui capelli. Se li è fatti tagliare perché lo aveva promesso in caso di vittoria nell’Eurolega. È solo lì la differenza tra il Datome di allora e quello di oggi, non il fatto che oggi è campione d’Europa. Lo è diventato grazie a quella testa che ne faceva un vincente anche quando perdeva in finale e che ora ha un altro peso in meno, oltre a quello dei capelli. Adesso, casomai, è un vincitore. Non esserlo gli pesava, ogni tanto nelle interviste concesse in questi anni ricordava (più a se stesso che all’interlocutore, almeno questa era l’impressione) che non aveva ancora vinto nulla.
Per capire chi è un vincitore e chi no, basta guardare gli albi d’oro. Per capire chi è un vincente, bisogna guardare tante altre cose. Il modo in cui superi gli ostacoli, in cui lavori, le scelte che fai. Gigi Datome è uno che di fronte agli ostacoli, tipo infortuni, allenatori che non lo facevano giocare, avversari più forti, ha sempre reagito cercando di superarli. Ha sempre lavorato anche quando altri al posto suo avrebbero mollato, sia per se stesso sia per le squadre in cui ha giocato. Se c’è un sognatore che non s’è mai arreso, è proprio lui. Lo era già da tempo, anche quando la sua bacheca era vuota. A Scafati si è messo in discussione e ha avuto e dato le risposte che servivano. A Roma non se n’è andato finché non è riuscito a restituire ciò che gli era stato dato e ciò che pensava che Roma meritasse. In Nba ci è rimasto finché non ha potuto almeno dimostrare che tutto sommato in campo ci poteva stare anche lui. La vittoria dell’Eurolega è storia di pochi giorni fa e nasce anch’essa dalla reazione a una sconfitta, quella dell’anno prima. Gigi Datome è sempre stato un vincente perché ha sempre fatto tutto ciò che si deve fare per vincere.
Quello che si sta cercando di dire è che se quel capitolo è ancora valido, è perché il fatto che ora sia campione d’Europa non aggiunge nulla all’ammirazione per il suo modo di essere atleta e non solo. La capacità di saper lanciare sempre un messaggio positivo con le parole e di dare l’esempio con i fatti. Di saper essere serio senza essere mai pesante, di sapersi divertire senza risultare eccessivo, di sapersi dare senza perdere se stesso. Quando andò via da Roma per andare ai Pistons, accadde un qualcosa che si vede raramente in casi del genere. Non solo nessuno si sognò minimamente di gridare al tradimento. Ci mancherebbe pure, direte voi, ma ormai in giro si vede un po’ di tutto. Ma c’era di più. Non si respirava minimamente la delusione per il fatto che un grande campione non avrebbe più fatto parte della squadra. Tutti erano semplicemente contenti per lui. Perché al termine di quella stagione c’era un senso di compiutezza che bastava per far capire a tutti che era giusto così, come se in Nba ci fossimo andati tutti. Se ne andava da vincente, anche se aveva perso.
Oggi c’è esattamente la stessa sensazione. Siamo tutti contenti per lui come quattro anni fa. Anche se non c’era affatto bisogno di una vittoria per ammirarlo o volergli bene. Per quello è stato sufficiente tutto ciò che ha trasmesso (anche più di ciò che ha fatto), in campo e non solo, in tutta la sua carriera e che chi ha avuto la fortuna di tifare per lui può capire un po’ meglio. Non serviva nessuna contropartita.
Però tutto sommato, come sta scritto a Siviglia, ti voglio bene lo stesso Gigi. Anche se hai vinto.