Con la Vuelta (che ormai è diventato il più bello dei grandi giri a tappe), si chiude la carriera di un grandissimo campione. Alberto Contador. Uno di quegli atleti di cui un giorno si potrà raccontare: “Io l’ho visto”. Uno di quegli uomini, come tutti, che ha sia cose belle sia cose brutte.
Le cose belle.
A inizio carriera ha rischiato di morire. Fu colto da un aneurisma cerebrale durante una tappa del Giro delle Asturie provocata da un problema congenito che si scoprì solo dopo un’operazione al cervello. Era il 2004. Nel 2005 vinse la sua prima gara in Australia perché Luis Sanchez, sapendo cosa gli era successo, lo lasciò vincere. Alla 19/a tappa del Giro d’Italia 2011 disse a Paolo Tiralongo, che non era più suo compagno di squadra e gregario, ma “solo” suo amico, di attaccare. Tiralongo (che aveva 34 anni e non aveva mai vinto una corsa) attaccò, prese un minimo vantaggio sugli altri, che a sua volta risposero all’attacco. Contador li riprese tutti, compresi quelli che avevano raggiunto Tiralongo, cui tirò la volata per poi farlo vincere. Non si tratta solo di rispetto per un amico. Si tratta di rispetto per lo sport in generale. L’aveva avuto tramite Sanchez, lo ha restituito tramite Tiralongo.
Alberto Contador è stato uno di quei fuoriclasse di cui ogni tanto si dice che “non ce ne sono più”, arrivato in un momento in cui già si diceva che non ce n’erano più. Era appena morto Pantani, proprio nel 2004, quando invece lui si salvò per un pelo. Con lui il ciclismo ritrovò un altro campione fortissimo in salita, capace di alzarsi sui pedali non per riposare ma per spingere più forte, di attaccare ovunque potesse, senza fare calcoli. E pensare che “Contador” significa “Contabile”… Chi vede lo sport in un certo modo lo avrebbe apprezzato allo stesso modo, anche se non fosse diventato uno dei pochi corridori ad aver vinto i tre grandi giri (gli altri, per capirci, sono Merckx, Anquetil, Gimondi, Nibali e Hinault – l’unico insieme a lui ad averli vinti almeno due volte, al netto di quelli vinti e poi tolti). Un piacere per gli occhi, bravo anche a cronometro. Quando, complice l’età, ha perso un po’ dello spunto in salita, ha iniziato ad attaccare da lontano. Complicati i suoi rapporti con i direttori tecnici, da Riis a Vinokourov, fino a Bruyneel. Ha scalato anche loro.
I suoi anni migliori sono stati quelli dal 2007 al 2012. Praticamente irricostruibili tutte le sue imprese, a meno di non voler essere encicolopedici. Un paio di flash: al Tour del 2011, in una tappa che prevedeva Télégraphe, Galibier e Alpe d’Huez lui attaccò sul primo, a più di 100 chilometri dall’arrivo, costringendo gli altri uomini di classifica a muoversi ben prima di quanto non facciano di solito. Fu raggiunto, poi andò nuovamente in fuga, poi fu di nuovo raggiunto. Non vinse quel Tour, ma, come detto, va ammirato a prescindere dalla sua bacheca. Una volta vinse anche snaturando se stesso: al Giro del 2008 non era in grande condizione, ma la sua forma crebbe col passare della corsa e lì fu davvero “contabile”, aggiudicandosi il Giro senza vincere neanche una tappa. Ha vinto la Vuelta del 2012 attaccando a 50 chilometri dall’arrivo su una collina con solo 400 metri di dislivello. Alla Tirreno-Adriatico del 2014 ha fatto una cosa molto simile. Preferiva rischiare ma non avere rimpianto e per questo piaceva. E siccome un grande campione non va mai sottovalutato fino alla fine, perché ti regala spesso l’ultima zampata, anche la vittoria di due giorni fa sull’Angliru…
Le cose brutte
Il doping. E’ toccato anche a lui e non si può far finta di niente. Nel 2008 non poté difendere il titolo vinto al Tour 2007 perché la sua squadra, l’Astana, fu coinvolta in uno scandalo. Tra i ciclisti squalificati non c’era lui, ma tutto il team fu escluso. Ma già nel 2006 la sua squadra, la Liberty Seguros, era stata coinvolta nell’Operación Puerto, indagine condotta male da cui uscì senza condanne. Nel 2010 furono però trovate prove di un’autotrasfusione di sangue.
Ciò che è passato alla storia, però, è soprattutto il caso del clenbuterolo, sostanza vietata la cui presenza nel suo sangue fu giustificata da un’assunzione involontaria tramite carne contaminata. Nonostante le contraddizioni del cuoco dell’Astana, in Spagna gli hanno creduto, la Wada e il Tas no (o, meglio: accertato che non si poteva dire come la sostanza fosse arrivata nel suo sangue, ma appurato che comunque c’era, scattò la squalifica retroattiva) e così gli furono tolte retroattivamente tutte le vittorie ottenute tra il 2010 e il 2012. E la vittoria del Giro 2011 andò a Michele Scarponi. Per quello che vale, lui ha sempre professato la sua innocenza, sottoponendosi perfino alla macchina della verità. In attesa del giudizio correva “sub judice” e i francesi lo fischiavano. Sono fatti così: loro non accettano il dubbio, fischiano chi non riesce a mandar via il sospetto, applaudono chi è stato beccato e ha pagato. Infatti storcevano la bocca su Armstrong, applaudivano Vinokourov e Basso e dal 2013 in poi non hanno fischiato più Contador. La verità, purtroppo, è che qualche ombra sul ciclismo ci sarà sempre, anche oggi che le positività sono molto inferiori e i ciclisti sono molto più magri (vedi l’asmatico Froome) di quando iniziò Contador (che magro è sempre stato) e ancora si pensava che Armstrong (suo compagno di squadra nel 2009, il Tour del ritorno in cui l’americano arrivò terzo e vinse proprio Contador) fosse il più forte.
Pur essendo stato sempre corretto, c’è anche un’altra piccola ombra. Uno dei suoi più grandi rivali è stato Andy Schleck al quale, nel Tour del 2010, mentre era maglia gialla, saltò la catena. Contador lo attaccò e lo staccò. Il gesto non piacque a molti, ma qui bisogna ammettere che ancora non s’è capito cosa preveda il galateo del ciclismo. In ogni caso, Schleck e Contador hanno poi fatto pace.
Ora chi pensa di trovare un po’ di pace forse è il Team Sky. In attesa che arrivi un altro Contador.