Marco Solfrini, ovvero i nostri anni più belli

(Da Il Romanista del 25 marzo 2018)

Marco Solfrini è stato i nostri anni più belli. È profondamente ingiusto parlarne al passato e non solo perché l’ala piccola del Bancoroma campione d’Italia ieri se n’è andato all’improvviso, colto da un malore, a 60 anni. È ingiusto perché persone e giocatori come Marco Solfrini dovrebbero esserci sempre, nella vita di tutti noi e in ogni squadra di basket. Il suo posto dovrebbe essere l’eterno presente, non l’eterno riposo. Da oggi è compito di tutti noi rendere eterno il ricordo di questo ragazzo. Lo era ancora: non solo non ha mai smesso di giocare, ma era l’anima delle Nazionali over 45-50-55 in cui aveva coinvolto anche alcuni ex del Banco come Sbarra.

Sì, Marco Solfrini è stato i nostri anni più belli. Quelli dei successi degli anni 80 che hanno reso Roma capitale di tutto nel basket. Arrivò a Roma nell’estate del 1982, proveniente da Brescia, quando di lui, convocato da giovanissimo nella Nazionale argento olimpico a Mosca, si cominciava a parlare già come di una eterna promessa. Eh no, di eterno deve rimanere il suo ricordo: quello di un ragazzo che si è messo a lavorare e si è perfettamente inserito in un gruppo composto da due americani e tutti ragazzi romani, tanto che alla fine sembrava pure lui romano come i vari Gilardi, Sbarra, Polesello, Castellano e non solo.

Quelle vittorie se l’è fatte tutte: lo scudetto, la Coppa Campioni, la Coppa Intercontinentale, la Korac nel 1986, poco prima di lasciare il Banco, che però dal suo cuore non se n’è mai andato. Cinque anni fa, il 19 aprile 2013, a trent’anni dallo scudetto, stava nelle piazze dell’Eur a brindare a quel ricordo (eterno, come lui) con i suoi ex compagni e con i suoi tifosi. Si era fatto 700 chilometri per esserci e altrettanti se ne sarebbe fatti la mattina dopo. Aveva gli stessi occhi di trent’anni prima, perché Marco Solfrini era una di quelle persone che sorridono con gli occhi, di quelle di cui ti puoi fidare.

Il sesto uomo

Si fidava ciecamente di lui Valerio Bianchini, anche quando lo usava come “sesto uomo”, pronto a spaccare le partite partendo dalla panchina. Al coach piaceva quel soprannome di “Tirammolla”, perché Solfrini saltava come e più di tanti americani. Era il “Doctor J” italiano e ieri nessun dottore ha potuto salvarlo. A Brescia giurano di averlo visto schiacciare a canestro a 50 anni. Qualcuno oggi inizierà a sognarlo lassù, a giocare con Davide Ancilotto, che giocava nel suo stesso ruolo. Il viaggio lo avrà organizzato Fausto Santopaolo, il campo lo avrà preparato Rino Saba, il tifo lo avrà organizzato Andrea Pesciarelli e la radiocronaca sarà stata di Antonietta Baistrocchi. Sì, sarà andata sicuramente così, magari già stanotte.

Campioni del mondo

Aveva tecnica e fisico, era in conflitto solo con il suo carattere, perché la sua sensibilità a volte si rivelava un’arma a doppio taglio. Soffriva in silenzio e poi tornava più forte di prima. Aveva braccia lunghissime, fondamentali per marcare uno come Candido Sibilio in finale di Coppa Campioni. O per rubare palla e poi andare direttamente in terzo tempo a canestro, nell’azione decisiva per vincere la Coppa Intercontinentale e diventare campioni del mondo.

Anche quelle braccia lunghe, forse, si sono rivelate un’arma a doppio taglio. Arrivava troppo in alto e il cielo se l’è preso troppo presto. Guardatelo al tramonto, il cielo: è come il Bancoroma. Blu e arancione. Sono i colori di uno strano orizzonte, per vederlo bene infatti non devi guardare avanti, ma indietro. Ci trovi tante cose belle, come Marco Solfrini.

2 thoughts on “Marco Solfrini, ovvero i nostri anni più belli

  1. Truman

    Schiacciare a 50 anni?!? Personalmente l’ho visto schiacciare meno di un anno fa…!! Eterno Marcone, ti devo ancora una birra. Addio.

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  2. Gianpy

    Ciao Truman… Solfro ha schiacciato nella partita vicina al suo sessantesimo compleanno per una sfida lanciata dal Toso il video deve essere sul suo profilo facebook….
    Solo un piccolo commento… ho avuto l’onore di giocarci come avversario e come compagno di squadra, ho avuto l’onore di “allenarlo”, ed è una parola grossa affermare che l’ho allenato, perchè uno come me non poteva dire che lo allenava, ma posso affermare che tutte le persone che lo incontravano le rendeva migliori

    Ciao Marco #marcosolfrini

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